Quando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura (Publilio Siro)

lunedì 28 febbraio 2011

La trappola della felicità


Titolo: LA TRAPPOLA DELLA FELICITA'. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere.

Autori: Russ Harris (ed. italiana a cura di Giovambattista Presti)

Edizioni Erickson, 2010 




Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso. E immagina che siano proprio queste tue convinzioni a farti sentire infelice. E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità ad impedirci di ottenerla?

L'introduzione inizia con queste parole.
Non è un libro che si legge tranquillamente la sera prima di dormire. E' un libro "da vivere", da sperimentare su di sè... e difficilmente vi lascerà indifferenti. 
E' un libro di "auto-aiuto", ma può anche essere molto di più.
Si basa sull'Acceptance and Committment Therapy (ACT), un approccio psicoterapeutico recente che, con solidissime basi scientifiche e bibliografiche, si sta rivelando utile ed efficace nell'aiutare chi soffre per i problemi più diversi. E' un approccio basato sulla mindfulness, ma non solo. Scopo principale dell'ACT è 
aiutare a vivere una vita piena, significativa, ricca, non fuggendo di fronte al dolore che inevitabilmente incontriamo, ma affrontandolo in modo efficace.
Nel nostro mondo occidentale siamo vittime inconsapevoli di miti costruiti intorno alla felicità, che rinchiudono in trappola la nostra vita. Quanto tempo nella nostra vita "sprechiamo" lottando contro il dolore, la paura, la rabbia o i pensieri negativi? Quanta vita perdiamo evitando situazioni che ci possono far soffrire ulteriormente, che ci preoccupano o ci mettono in ansia?
Attraverso il libro vengono percorsi i 6 processi che sono alla base dell'ACT, con un linguaggio comprensibile a chiunque, per rendere il lettore consapevole dei meccanismi mentali che ci rendono prigionieri. Vivere una vita piena significa muovere piccoli passi in direzione di ciò che nella nostra esistenza riteniamo di incomparabile valore, camminare verso ciò che per noi è prezioso e importante.

Che cosa è importante per te?
Cosa vuoi che la tua vita sia per te?
Che tipo di persona vuoi essere?
Che tipo di relazioni vuoi costruire?
Se tu non stessi lottando con le tue emozioni o evitando le tue paure, per fare cosa canalizzeresti il tuo tempo e le tue energie?

Se cercate risposte, nel libro non ne troverete. Quello che troverete è una proposta, una strada che potrete percorrere da soli o, eventualmente, con il supporto di uno psicologo ACT.

Buona lettura

(in uno dei prossimi post, approfondirò la presentazione del modello ACT)


giovedì 24 febbraio 2011

Il Disturbo d'Ansia Generalizzato


“Non riesco a fermare la mia mente, sono sempre in ansia… mi sembra di impazzire”
"È in ritardo, doveva essere qui venti minuti fa… Gli deve essere successo un incidente…”
“Non riesco a dormire – sono come terrorizzato… e non so perché!”


Cos'è
Il Disturbo d'Ansia Generalizzato (GAD) è caratterizzato da uno stato di ansia, apprensione e preoccupazione eccessive per intensità, durata o frequenza e presenti in molti ambiti della vita quotidiana. Quest'ansia non è legata ad un'effettivo evento pericoloso ed è difficile da controllare. Inoltre è presente da almeno 6 mesi.

 Sintomi fisici di Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
§  Tensione, dolori o crampi muscolari
§  Problemi del sonno
§  Disturbi gastrici, nausea, diarrea
§  Vertigini
§  Nervosismo o irrequietezza
§  Facile affaticamento
Sintomi psicologici di Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
§  Irritabilità
§  Sensazione di terrore o forte paura
§  Incapacità di tenere sotto controllo i sintomi ansiosi
§  Incapacità di rilassarsi
§  Difficoltà di concentrazione
§  Paura di perdere il controllo
    In molti casi a questi sintomi si affianca un'attivazione del Sistema Nervoso Autonomo che può causare palpitazioni, sudorazione, dispnea, nausea, aumento del bisogno di urinare...

    Spesso il GAD ha un andamento cronico, motivo per cui chi ne soffre tende a definirsi una "persona ansiosa", come una caratteristica di personalità, come un tratto distintivo del proprio modo d'essere. Per questo molte volte è un disturbo non riconosciuto e i pazienti tendono a rivolgersi a figure mediche a causa dei sintomi fisici

    Come si manifesta
    Chi ha un disturbo d'ansia generalizzato vive come se temesse un disastro da un momento all'altro, in uno stato di preoccupazione quasi costante. La maggior parte delle paure eccessive riguardano situazioni quotidiane, come responsabilità lavorative, problemi economici, salute propria e dei familiari, incidenti a persone significative... Chi soffre di GAD può essere terrorizzato dall'idea di fare errori al lavoro, può essere in forte ansia al minimo ritardo di qualcuno, temendo che sia capitato un incidente, può svegliarsi agitato di notte pensando a come risolvere un problema.
    In alcuni casi queste preoccupazioni vengono riconosciute come eccessive, soprattutto dopo che l’evento temuto non si è verificato; in altri casi, invece, i timori sono considerati realistici. 

    Comunque venga interpretata l'ansia, chi soffre di GAD sperimenta un forte disagio dovuto alla preoccupazione costante.
    Questo stato di preoccupazione e di ansia viene mantenuto e amplificato dall'attività della nostra mente, che attraverso pensieri e giudizi continua a lavorare su questi argomenti per molte ore del giorno (e della notte). 
    Per attenuare le preoccupazioni, chi soffre di questo disturbo può attuare comportamenti come:
    • Distrarsi 
    • Evitare (attività, fonti di informazione, persone...) 
    • Chiedere continue rassicurazioni a chi sta intorno 
    Si tratta di comportamenti, che al contrario delle intenzioni di chi le mette in atto, hanno effetto nel mantenere ed aumentare il malessere e la sofferenza.

    Chi soffre di GAD può arrivare ad una compromissione del funzionamento nelle attività lavorative, sociali e familiari, ad una diminuzione dell'autostima ed eventualmente ad una conseguente depressione.

    Come riconoscere se si soffre di GAD
    Tutti proviamo ansia: per questo è importante differenziare le normali preoccupazioni da quelle che caratterizzano il disturbo d’ansia generalizzato. L’ansia è un’emozione funzionale, che prova ogni soggetto sano. Rispetto alle preoccupazioni normali, quelle che caratterizzano il GAD sono: 
    • più numerose, più frequenti, più invasive 
    • quasi costanti, presenti in previsione di qualsiasi evento, anche improbabile 
    • accompagnate da ansia molto forte 
    • non legate a situazioni di pericolo reale 
    • associate a sintomi fisici 
    • difficili da controllare 
    Preoccupazioni normali vs GAD
    Preoccupazioni "normali"
    Disturbo d'ansia generalizzato
    Le tue preoccupazioni non interferiscono con le tue attività  e responsabilità quotidiane.
    Le tue preoccupazioni interferiscono negativamente e in modo significativo con il tuo lavoro, le attività e la vita sociale.
    Sei in grado di controllare le tue preoccupazioni.
    Non riesci a controllare l'ansia e le preoccupazioni.
    Le tue preoccupazioni, benché spiacevoli, non sono causa di stress significativo.
    Le tue preoccupazioni ti agitano e ti stressano molto.
    Le tue preoccupazioni sono limitate ad un piccolo numero di problemi realistici.
    Ti preoccupi per qualunque cosa e tendi sempre ad aspettarti il peggio.
    Le tue preoccupazioni sono presenti solo per brevi periodi di tempo.
    Ti sei preoccupato quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi.
    In presenza di questi sintomi, occorre escludere una condizione medica generale (es. ipertiroidismo) o l'effetto di sostanze quali caffeina o farmaci. Occorre, inoltre, distinguere da altri disturbi d'ansia, da ipocondria o da disturbo dell'alimentazione.


    Come viene trattato
    I trattamenti riconosciuti come più efficaci per la cura del disturbo d’ansia generalizzato sono la psicoterapia e la terapia farmacologica. Nella terapia farmacologica vengono utilizzati antidepressivi di nuova generazione e benzodiazepine. A breve termine questi farmaci risultano efficaci, ma all’interruzione della loro assunzione, è possibile che i sintomi del disturbo si ripresentino in quanto le sue cause possono restare inalterate. 
    Le Linee Guida indicano che "è opportuno nel caso del GAD associare un supporto non farmacologico al paziente. In alcuni casi il supporto psicoterapeutico è di prima scelta e può essere considerato esclusivo. Nella maggior parte dei casi è opportuna una terapia psicofarmacologica associata parallela o sequenziale. 
    Il trattamento più studiato e per il quale esiste evidenza di efficacia è la terapia cognitivo-comportamentale".
    Questo approccio lavora sulla riduzione o scomparsa dei sintomi d’ansia, sulla ripresa delle abilità sociali e del
    funzionamento psicologico interpersonale. Lavora sui problemi attuali («qui ed ora») e si basa su un impegno attivo da parte del paziente.


    Bambini e Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)

    Nei bambini, le preoccupazioni eccessive possono riguardare eventi futuri, comportamenti passati, accettazione da parte degli altri, problemi familiari, capacità personali e risultati scolastici.
    A differenza degli adulti, bambini e ragazzi con GAD spesso non ritengono che l’ansia che sperimentano sia sproporzionata rispetto alla situazione. Per questo è necessario che siano genitori ed insegnanti a cogliere i sintomi.

    I campanelli d’allarme nei bambini possono essere:

    ü  Preoccupazioni circa situazioni di un futuro lontano (“e se?”, “cosa succederà se…?”)
    ü  Perfezionismo, eccessiva autocritica e forte paura di sbagliare
    ü  Sensazione di essere responsabili di qualunque catastrofe  e di poterle scongiurare attraverso le loro preoccupazioni
    ü  Bisogno di frequenti rassicurazioni e approvazione


    lunedì 21 febbraio 2011

    Disturbi d'ansia - introduzione

    A chi non è mai capitato di sentirsi in ansia?
    Prima di un evento importante, prima di un esame, di fronte ad un imprevisto...
    L'ansia è un meccanismo fisiologico, fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza: è uno stato di attivazione dell'organismo per far fronte a situazioni che riteniamo pericolose o potenzialmente tali.
    Il cuore batte più forte, la respirazione diventa più veloce, sudiamo: in questo modo il nostro corpo si prepara a rispondere alla minaccia.
    L'ansia, dunque, non è qualcosa da cui liberarci. Il problema insorge quando essa diventa eccessiva, non giustificata dalle situazioni che affrontiamo o immotivata. In questo caso possiamo trovarci di fronte ad un cosiddetto Disturbo d'Ansia
    Chi soffre di un disturbo di questo tipo, o chi condivide la vita con una persona che ne soffre, sa quanto invalidante, limitata e complicata possa diventare la vita quotidiana. Anche le attività più semplici possono diventare impossibili da affrontare e da vivere. Spesso ci si accorge che la vita è diventata estremamente "piccola": si evitano via via tutte le situazioni che possono potenzialmente mettere in difficoltà, riducendo o eliminando relazioni ed esperienze, entrando così in una spirale che produce sempre più ansia e sempre più sofferenza
    immagine presa dal web

    Con quali caratteristiche si presenta l'ansia?
    Le manifestazioni variano molto tra le varie persone. In generale possiamo dire che sono presenti
    • Emozioni (Paura, ansia, timore...)
    • Pensieri (Chissà cosa penseranno, mi sentirò male, non ce la farò mai...)
    • Sensazioni fisiologiche (battito cardiaco e frequenza respiratoria accelerate, sudorazione, tensione muscolare, vertigini...)
    Il DSM-IV, il Manuale che raggruppa e descrive tutti i vari disturbi psicologici e psichiatrici, individua 6 categorie di disturbi d'ansia:
    Nei prossimi post, parlerò nello specifico dei vari disturbi e del loro trattamento.



    venerdì 18 febbraio 2011

    Intelligenza emotiva per un figlio

    Con questo post, inauguro una serie di suggerimenti di lettura: libri di supporto psicologico, di auto-aiuto o educativi rivolti ad un pubblico "non specialistico".
    Tutti i suggerimenti libreschi li raccoglierò nella pagina "Libri", in cui troverete via via aggiornati i link ai vari articoli, suddivisi in categorie. 
    Buona lettura!!!

    Titolo: INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO. Una guida per i genitori 

    Autori: John Gottman, Joan De Claire

    Come anticipa il titolo, questo libro si inserisce nell'ambito dell'intelligenza emotiva.
    Ma di cosa si tratta? E' un aspetto dell'intelligenza legato alla capacità di provare emozioni, di riconoscerle e di viverle consapevolmente.
    Quello che molti studi hanno evidenziato è che questa competenza spesso risulta carente. Nel caso dei genitori, inoltre, non aver sviluppato un'intelligenza emotiva può portare a trascurare questo aspetto nella crescita dei propri figli.
    Come scrive Gottman, "Sorprendentemente, la maggior parte dei consigli che comunemente vengono dati ai genitori ignora il mondo dell'emozione. Essi si basano al contrario su teorie educative interessate al fatto che i bambini si comportino male, ma che ignorano i sentimenti che sottendono quei comportamenti. In ogni caso, il fine ultimo dell'educazione dei figli non dovrebbe consistere meramente nell'ottenere un individuo docile e obbediente. La maggior parte dei genitori spera in molto di più. Si vuole che i figli diventino persone rette e responsabili, diano il loro contributo alla società, abbiano la forza per fare le proprie scelte nella vita, godano della realizzazione dei propri talenti, della vita e dei piaceri che essa può offrire, intrattengano buoni rapporti con gli amici, abbiano un matrimonio riuscito e, a loro volta, diventino buoni genitori."
    Il libro di Gottman tratta proprio questa sfera educativa (quella emotiva) così spesso trascurata, tanto che studiosi americani l'hanno definita "the missing piece", il pezzo mancante dell'educazione.
    Descrive diverse tipologie di genitore, in base al modo di gestire la relazione emotiva con i figli:
    • il censore: trascura e disapprova le emozioni del figlio, non è empatico, ma assume un atteggiamento critico.
    • il noncurante: sminuisce o svaluta le emozioni dei figli, ritenendole "da bambini", tenta di annullare o negare tristezza e rabbia cercando di far ridere.
    • il lassista: accetta le emozioni del bambino, qualunque esse siano, ma non sa offrire una guida per trattare le emozioni negative. 
    • l'allenatore emotivo: accetta i sentimenti e le emozioni del figlio e gli fa da guida nel mondo emotivo, ponendo limiti nei confronti dei comportamenti inaccettabili, insegnando loro come regolare i sentimenti e risolvere i problemi.

    Nel libro vengono approfondite 5 fasi per l'allenamento emotivo:
    • Essere consapevoli delle emozioni del bambino
    • Riconoscere nell'emozione un'opportunità di intimità e di insegnamento
    • Ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino
    • Aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che prova
    • Porre dei limiti mentre si aiuta il bambino a risolvere il problema

    Se siete curiosi di conoscere il vostro stile genitoriale, sul sito Laboratorio Formazione potrete eseguire il test!

    mercoledì 16 febbraio 2011

    L'intervento psicologico per i bambini

    Dite: è faticoso frequentare bambini.Avete ragione.Poi aggiungete: bisogna mettersi al loro livello,abbassarsi,inclinarsi,curvarsi,farsi piccoli.Ora avete torto.Non è questo che più stanca.E' piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsifino all'altezza dei loro sentimenti.Tirarsi,allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.Per non ferirli.             J. Korczack
    Capita spesso che i genitori si chiedano se sia necessario portare il loro figlio dallo psicologo.
    A volte è il pediatra a suggerirlo, altre qualche insegnante, altre ancora sono mamma e papà stessi a cogliere segnali di disagio, difficoltà o comportamenti problematici che possono richiedere un intervento "esperto".
    Molte volte, basta questo interrogativo per suscitare preoccupazione, timore e ansia nei genitori, spaventati da mancanza di informazioni corrette o da pregiudizi.

    Ma cosa fa uno psicologo che lavora con i bambini?

    Il primo aspetto da sottolineare, è questo: lavorare con i bambini non può prescindere dal lavorare con i genitori!!
    Quanto più il bambino è piccolo, tanto più il coinvolgimento dei genitori è di fondamentale importanza.
    In alcuni casi, non è neppure necessario che il bambino arrivi nello studio dello psicologo... può essere sufficiente aiutare i genitori perché i figli ne traggano beneficio e superino il momento difficile che stanno vivendo.
    In altri casi, invece, è utile per il bambino trovare uno spazio dove essere ascoltato e aiutato a comprendere ed esprimere ciò che sente. O ancora, nel caso in cui emergano sofferenze più profonde o problematiche significative è importante l'intervento di un professionista, formato all'attività psicologica con i bambini.
    Argomenti  generali del lavoro tra lo psicologo e il piccolo paziente potranno essere, a seconda dei casi, il riconoscimento e l'espressione di emozioni, l'autostima, l'incremento di abilità sociali...
    A queste attività, svolte sempre in modo giocoso e adeguate all'età del bambino, potrà essere affiancato il trattamento di eventuali disturbi clinici.
    In base alle problematiche presentate, potrebbe rivelarsi molto utile estendere l'intervento a contesti diversi da quello dello studio dello psicologo: casa, scuola, tempo libero.

    martedì 15 febbraio 2011

    Ma quanti "PSI" ci sono?? Ma cosa fanno?



    Quanti pensieri e quante reazioni evoca una sola sillaba... 
    Basta dire "PSI" e...
    "Allora ho qualcosa che non va..."
    "Ma noooo... Davvero va dallo psicologo? L'ho sempre detto che è matto"
    "Figurati se devo andare (e pagare...) uno che mi fa stendere su un lettino e mi ascolta..."
    "Ma sì, andare dallo psicologo... qualche pillola e tutto passa..."
    Psicologo, figura misteriosa e sconosciuta ai più. Oggetto di luoghi comuni e di stereotipi. Professione a volte svalutata e spesso "usurpata" da altri professionisti. 


    Proviamo a fare chiarezza.

    LE DIVERSE FIGURE PROFESSIONALI:
    ovvero
    Non tutti gli "PSI" fanno le stesse cose!!
    • Psicologo: E' un professionista laureato in psicologia e iscritto all'Albo degli Psicologi (chi è soltanto laureato non può definirsi psicologo). Lo psicologo si occupa di prevenzione psicologica, di consulenza e di sostegno psicologico, di diagnosi psicologica e attua interventi di abilitazione o riabilitazione. Lo psicologo non può prescrivere farmaci, dal momento che per fare questo serve una laurea in medicina. Se possiede una laurea in medicina oltre a quella in psicologia lo può fare. Non è abilitato all'esercizio della psicoterapia.
    • Psicoterapeuta: E' un professionista laureato in psicologia o in medicina, iscritto al proprio ordine professionale (Psicologi o Medici), che ha conseguito una specializzazione quadriennale in una scuola di psicoterapia (o se è medico, di psichiatria). E' iscritto all'apposito Albo. Può esercitare la psicoterapia.
    • Psichiatra: E' un medico specializzato in psichiatria ed iscritto all'albo professionale. Può esercitare la psicoterapia e può prescrivere farmaci.
      • Il Neuropsichiatra è l'analoga figura che si occupa però di bambini e adolescenti.
    • Psicanalista: E' un professionista laureato in psicologia o medicina e iscritto all'albo, che ha svolto uno specifico percorso formativo in psicoanalisi. E' un tipo di psicoterapia.

    Chi sono

    Mi presento:
    Mi chiamo Marta Longoni e sono nata a Varese nel 1979.
    Dopo la maturità Classica, mi sono laureata in psicologia presso l'Università Cattolica di Milano, con una tesi dal titolo "Il padre: traghettatore verso il mondo sociale e degli ideali? Una ricerca empirica nelle famiglie con figli adolescenti", indice della passione per due grandi ambiti quali l'età evolutiva e la famiglia.
    Consapevole della fondamentale importanza di una continua formazione personale e professionale, ho frequentato diversi corsi, tra cui il Corso per insegnanti di massaggio infantile e il corso di alto perfezionamento "Percorsi di promozione e arricchimento dei legami familiari".
    Dopo alcune esperienze lavorative e di tirocinio, svolte in consultori e presso l'Osservatorio per le dipendenze dell'Asl di Varese, ho deciso di dedicarmi all'ambito che più di tutti credo mi rappresenti: quello dell'attività clinica.
    Ho frequentato la scuola di specializzazione in Psicoterapia cognitivo-comportamentale Humanitas di Milano, ottenendo l'abilitazione all'esercizio della psicoterapia nel 2012.
    Dal 2009 svolgo attività di libero professionista nel mio studio a Malnate, in provincia di Varese, occupandomi di bambini e adulti, singoli, coppie e famiglie.


    Ho scelto di diventare psicologa, e di occuparmi della sofferenza di chi si rivolge a me, per andare incontro a quelle cose che sono importanti nella mia vita: accogliere, ascoltare, accettare, aiutare... 

    Spesso ho difficoltà con i miei pazienti (e non solo...), a trasmettere l'idea di cosa significhi essere psicologa, o di quello che per me significhi essere psicologa. Non significa fornire consigli o pareri. Non significa trasmettere ciò che per me è importante, significativo, normale... Non significa insegnare. 
    Per me vuol dire aiutare chi ho davanti a trovare in sè le risorse per andare avanti, per cambiare, per crescere. 
    Vuol dire aiutare chi ho davanti a muoversi verso ciò che da significato alla sua vita.